venerdì 15 febbraio 2013

Big George

Il Sole sorse prima del solito quella mattina. Sembrava avere voglia anche lui che tutto si sbrigasse il prima possibile. Mezzogiorno arrivò invece con la sua lentezza indolente. Incurante del dolore e della rabbia che aleggiava sulla collina.
La vendetta era un frutto ora maturo tra le mani di un'esile ragazza, dalla chioma liscia e corvina e la pelle lattea, che si riparava all'ombra di un grande albero.  Big George si chiamava. Era stato così battezzato dai primi coloni ad inizio '800, ed era testimone di tutte le vicende scorse nella vallata. Tutte, anche quella di Jane, che attendeva il suo assassino proprio sotto l'enorme ramo da cui oscillava un cappio. Il cigolio della corda era un ghigno malefico e lui riconobbe quella figura diafana e vide quel frutto rotolante tra i palmi, mentre a passi cadenzati e lenti i cavalli si inerpicavano verso il maestoso albero.
Si volse inquieto, come a trovar conferma della propria incredulità, verso i due che imperturbabili badavano solo a puntargli i fucili addosso.
Quando il giudice rinnovò la sentenza al condannato ed il cavallo venne lanciato al galoppo, i presenti notarono, nel silenzio assoluto, solo un fruscio di foglie ed un frutto, morsicato, staccarsi da Big George e rotolare giù.

mercoledì 13 febbraio 2013

La corda

C'ero io con una corda che passavo tra le dita, c'era il profumo forte dei tuoi capelli e l'odore della tua vita. C'era un sogno rotto in un cassetto, l'uomo nero sceso dal soffitto e la Luna che si allontanava dal nostro tetto.

Scorgevo la paura nei tuoi occhi riflessi in uno specchio, capii che non credevi più alla follia di quel gioco ormai vecchio. 
Rividi tutto in pochi attimi. Quella strada e quella notte affollata di puttane, quelle auto in fila indiana a portarvi il loro pane. Quel contratto a fari spenti, tu la spunti ma poi ti leghi ai miei tormenti. Solo aghi a farti buchi nella pelle, i nodi che ti solcano le spalle, e le sere a presentarsi senza stelle.
E poi ora. Una corda, stretta nei miei palmi. Vecchio pazzo chinato sul tuo collo a biascicar febbrili Salmi.
Ed è ancora forte quel profumo, strappato dalle dita; l'odore della paura e quello della tua vita.

lunedì 4 febbraio 2013

La spiaggia

La camminata è incerta e sofferente, su gambe segnate dalla fatica di mille viaggi. Tutti iniziati con un passo, come direbbe un saggio, e tutti interrotti per un bisbiglio, come succede ai pazzi.
L'amore, su quelle gambe, tremava fino a staccarglisi di dosso; era un frutto in fioritura stecchito e portato via da una folata di vento glaciale.
Quante forti Parole. Sembravano sassi. Scagliate contro il Sole si son poi mostrate bugie di cera; vele maestose che promettevano rotte felici e interminabili e si sono accartocciate sotto i primi flutti. E lui è rimasto lì, sulla spiaggia, ad aspettare e credere ad ogni Primavera.
Ora passa gli Inverni in precario equilibrio sui ciottoli, in riva ad un mare freddo e anonimo. Li scruta tutto il giorno per leggere tra le striature calcaree quelle promesse scambiate dagli innamorati e poi dimenticate lì.
Chi vuole trova amore dappertutto, e dolori.

C'era una ''gatta''


C'era poi quella gatta, che aveva una macchia nera, nell'anima, ed un velo triste negli occhi, che quando li fissavo sembravano implorarmi di non usarla, anch'io, come gli altri, prima e sempre, avevano fatto. Perchè a quelli, delle gatte, interessava solo che facessero le fusa e si lasciassero palpare nei salotti lussuosi ed appartati delle ville o nelle stanzette dei motel. Finchè son cucciole, poi le buttano fuori.
La raccolsi che vagava stordita, tra dei bidoni di latta incendiati, in una notte senza stelline. E la macchia sul muso era il livido di un pugno.
Imparai a strimpellare la chitarra per sussurrarle tenere cantilene e assurde filastrocche. Guardavamo il cielo blu nella casa in riva al mare.
Io sono ancora lì, dalla finestra, a fissare aspettando che rispunti la stellina là in alto, e lei dal vialetto. E che i suoi occhi tornino a implorarmi di non lasciarla, come gli altri hanno sempre fatto e come mai io avrei.

domenica 3 febbraio 2013

Cuore ingrato (tema "Il castello")

C'era un castello stupendo ed una sola via per conquistarlo; sola e labirintica, come il Cuore della dama di cui si era assurdamente innamorato. Peregrinare e lottare, era questa la strada che lo avrebbe condotto all'àmbito maniero, ed era pronto a percorrerla. Si inerpicò su pendii scoscesi, attraversò laghi pullulanti mostri di arcaiche memorie, superò impavido inquietanti paludi ed affrontò le bestie più feroci che infestavano le intricate foreste del regno. Arrivò al traguardo, stanco ferito ma entusiasta. Trovò un Cuore freddo e ingrato. Realizzò che pur giungendo a destinazione si era comunque 'perso' e che in fondo quell'ammasso di blocchi corrosi dai secoli e dalle intemperie, aggredito e soffocato dalle sterpaglie e divenuto un ricettacolo di orchi e meretrici non era poi il Castello fatato descritto in tante favole.

Bobo (tema "Ultimo valzer")

Seduto sulla panchina del parco osservava le foglie rosse che salutavano rassegnate l'imponente quercia e si concedevano all'invito sbarazzino del venticello fresco del crepuscolo. Un giro di valzer anche per loro. L'ultimo.
Quello forsennato di un nugolo di insetti che ammaliati dalla luce di un neon concludevano la danza ascendente precipitando bruciate verso il buio.
I Choco Pops che mulinavano nel latte macchiandone il candore al ritmo dettato dal cucchiaio che batteva sul bordo della tazza. Lo scomparire del suo palloncino a testa di coniglietto che volteggiava rapito dalle correnti.
La foto dei nonni, che non c'erano più, incorniciata nel salone mentre sorridono abbracciati al centro della pista.
Tutto per Bobo aveva il sapore di un ultimo valzer.

L'effimero squarcio nel buio

Gli venne da chiederle chi credette di essere quando apparve, improvvisa ed abbagliante, come lo squarcio di un faro dal promontorio, nell'oblìo di quella sua vita iniziata per caso e continuata per dispetto in un girare vuoto, lento e regolare fino al cinismo. Un fascio potente ed istantaneo rivelò un nugolo di pensieri che fluttuavano ingenui e tracciò un raggio luminoso che girando ne scoprì altri schizzare deliranti e forsennati. Impossibili da ordinare e tenere a bada. Assurdo dar loro una ragione.
Emerse dal buio, con una light coccolata tra quelle labbra che avvelenavano il Cuore e alitavano vita. Sembrava fosse solo lui ad aspirare quel fumo che avrebbe finito per uccidere, entrambi.
Gli venne da urlarle chi cazzo credette di essere ma non potè farlo, come dissolta nel fumo di una boccata o spenta in un ricordo, Lei non c'era più.


Non esisteva, ne fece il suo capolavoro

Su quella pelle descrisse fantasie proibite,
incise i versi più sublimi,
vergò le parole più crudeli,
e la cosparse coi colori della passione.

La pelle che si compra

La pelle era quella che pagava a cartate di euro. Era merce, spesso di tonalità differenti: nera come l'ebano, caramellata al Sole del Magreb, odorante di saudade e samba o pallida e indurita al freddo del Baltico.
Le raccoglieva sui viali proibiti, le caricava in auto e lì o in una stamberga qualunque vi scriveva sopra le sue voglie. Le tracciava con schizzi di sperma, le segnava con lacci, le firmava con i graffi di un amplesso tra l'impetuoso ed il ridicolo.
Con lui ci andavano volentieri (?), non contrattava mai anzi elargiva compensi extra. "Arriva il Nobile", si bisbigliavano ridendo le ragazze, riconoscendo la sua auto.
A casa poi, per la pelle della moglie e delle figlie, con la stessa età dei suoi ''acquisti'', erano solo carezze e teneri baci.

L'amica

Faceva un freddo boia quella sera, con le folate di vento che tagliavano la pelle ed i cocci di un Amore che era stato solo illusione sparsi sull'asfalto della periferia.
C'era Erica, l'amica che è sempre presente quando deve versarti da bere, offrirti la spalla su cui vomitare l'ennesima congestione sentimentale, e raccoglierti da terra.
Ed Erica, quella sera in cui faceva un freddo boia, dentro e fuori, gli offrì di più. Una carne morbida su cui affondare sesso ed una pelle bianca e liscia da consumare a morsi e respiri.
E fu così, come una scintilla sulla paglia, una scia nel buio.
Il freddo si dissolse tra gli amplessi. Rimase il gelo, nell'anima ed un biglietto il mattino dopo. "Grazie Erica. Perdonami."

Di pelle

Non era 'di pelle', lui.
Non aveva calore nè colore. Respiro o sorrisi. Era solo inchiostro, morto su un foglio. Bianco come il nulla.
L'unica materia che scorgevi in lui, erano i sogni.