venerdì 19 ottobre 2012

Perchè tutto finì

Camminavano su una distesa di sabbia e ad ogni affondo nella rena un lamento di gabbiani si allargava nel cielo. Con un suono che ai due umani sapeva di scherno.
Il bambino, l'ultimo della Terra, chiese intimidito perchè tutto era così. Aggrappava la manina ad un solo dito, enorme e ruvido, di quel vecchio dalla figura monolitica col passo tremante e l'aspetto così insicuro da suscitare timore e tenerezza.
Era tutto normale lì attorno, troppo. Così normale da ostentare la propria falsità, come un paesaggio che mostra panorami rigogliosi e verdeggianti ma che una volta toccato è solo tempera seccata su tela.
"Perchè è così?" ripetè il vecchio. "Perchè nessuno ha più voluto urlare la propria rabbia." Rispose pacato.
"Perchè nessuno ha voluto più scagliare pietre contro le stelle, e sradicato foreste dai propri giardini. Tutti si sono lasciati cullare dai vizi e dalle comodità invece di restare svegli e dar fuoco ai loro sogni; e di affrontare il sonno violentando i loro incubi."
"E poi?" il bambino alzò gli occhi, enormi e lucidi come ciottoli sott'acqua.
"Poi i padroni hanno acceso luci sfavillanti e irradiato musiche ammalianti ed inoculato lussi in ogni posto della Terra. Offrivano il tutto, glielo davano subito porgendoglielo con mani curate ed un falso sorriso stampato sulle labbra, ed il prezzo è stata la dignità, la ragione, e l'anima. Le piazze erano piene solo per le partite di calcio. Hanno acceso meraviglie tecnologiche, e spento la loro rabbia. Ecco perchè è finito tutto", concluse amaramente,"si sono lasciati spegnere la rabbia. Una volta fatto quello tutto il resto è venuto da sè."

 

Labirinto

Era un labirinto. Il più intricato. Sentieri senza sbocco, deviazioni assurde, passaggi angusti. Ogni svolta, affrontata con la timida speranza di percepire un bagliore che indicasse l'uscita, si disintegrava nell'ennesimo muro impenetrabile e gelido come il volto e le labbra di quei medici ormai avvezzi a comunicare condanne.
Era il suo corpo, ora, un labirinto, di respiri ed angosce, sussurri spezzati, voci rotte da incredulità, emozioni e lacrime nascoste. Notti con le pupille sbarrate a fissare un buio destinato a divenire compagno. Un labirinto dentro cui riecheggiava una parola, secca come una fucilata e dilaniante come uno scoppio nelle viscere.
Era lì il Minotauro. Bestia crudele e spietata che cresceva divorando ogni conforto che vagava debole in quel dedalo, tentando una fuga. Invano. 
Il filo di Arianna era ''via d'uscita'', l'unica. Si srotolava lungo la provinciale che costeggiava la scogliera. Accarezzato dal maestrale il corpo fu un salto che seppe di un attimo e di salsedine. La luce squarciò l'oscurità di quella trappola come la roccia fece con il suo petto. Un salto che fu uscita dal labirinto e fu morte del Minotauro.

Fanciulla spezzata

"Ti abbraccio forte forte a presto :-*"
E lo fece. Si incontrarono e l'abbracciò. Così forte da fermarle il respiro. E scuoterla, con un brivido. Continuò nella stretta e l'affetto mutò in impeto, come il vermiglio del crepuscolo diventa il viola della sera. I timidi sospiri divennero respiri scippati, e quando il fiato le si spezzò nei polmoni lei si spezzò come una canna. Ed il viola della sera divenne il nero della notte. Poi una stella pallida e smunta la adagiò sull'erba e vegliò su di lei. La Luna le sussurrò una cantilena gitana, struggente ed antica. Il Sole, con vana e commovente tenerezza, la carezzò coi suoi raggi. Le stagioni coprirono quel prato dei loro folli colori, come fosse la tela di un pittore incostante e distratto. La pioggia pianse lacrime e grandine su quella tomba ammantata di trifogli e macchiata di margherite e campanule, in una muta crudele e assurda benedizione. La brezza dei colli spinse in mare l'orrore, le preghiere degli uomini le ingoiò la marea, insieme alle illusioni di una fanciulla spezzata.

giovedì 11 ottobre 2012

Paura - 2

Quando la senti arrivare cerca di pensare ad altro, a qualcosa di bello. Respira ma non immaginare l'aria fluirti nei polmoni, non serve a niente.
- Dicono funzioni. -
Stronzate! Lo dice chi la pa... lo dice chi non ne ha mai avuta, veramente. E l'ha letta solo nei libri, o vista al Cinema, o scambiata con altro o additata in situazioni che non hanno nulla a che fare con lei. Non nominarla, e non pensare nemmeno al modo in cui chiamarla perchè il solo credere di fregarla così ti fregherebbe.
- Ma è assurdo! -
Perchè, 'lei' ti sembra ragionevole? ti sembra avere una logica, 'lei'? E' buio e non senti che il battito del tuo cuore, e se ti concentri su quello è peggio. Aumenterebbero fino a fartelo scoppiare. Deglutisci e ti sembra di avere un sasso in gola e soffocare della tua stessa saliva. E te l'ho detto di pensare a qualcosa di bello?
- Sì, all'inizio. -
Ho mentito. Non aiuta. Quando arriva 'lei', quella vera, tutto quel che ti sei preparato crolla.
- Come si vince allora? -
Questo è il...bello, tesoro.
Non_puoi_battermi.
(Ti consumerò. Fino alla fine.)

Paura - 1

L'avevo nascosta. Imparato a tenerla a bada. Renderla innocua come una serpe stretta tra le dita, a fermarne l'infida testolina. Incapace di iniettare veleno, quello blu della paura.
Nulla più mi faceva provare quell'attimo che ferma il fiato nei polmoni o fa pulsare la gola e divampare il sangue nelle vene. Poi conobbi una donna. E la sua voce penetrò sinuosa creando crepe nella mia fortezza. Sbriciolando paziente ogni grado di difesa. Per raccogliere i suoi 'ti amo' allentai la presa su quella serpe e da allora, al solo pensiero di perdere quel miracolo cadutomi addosso, la sento strisciare viscida nello stomaco, e mordere, ogni volta che Erika dice, "Vado."
Rigido, freddo, sprezzante. Convinto di non temere nulla; non feci i conti con il fatto che l'amore è anche paura.

venerdì 5 ottobre 2012

Sul suo corpo tutti i colori del mondo.

Intinse le dita nei barattoli delle mie tempere e se le passò sulla pelle, a segnare e disegnare le sue forme. 
Erano giorni che non riuscivo ad iniziare il mio ultimo quadro. Una tela desolatamente vuota come terra inaridita. 
Ero sconsolato, avvilito, e nervoso. Avevamo litigato. Dovevo averle sbraitato di tutto addosso, anche se non ricordo cosa. Quello che ricordo, e mi sorprese, fu la sua reazione. Si diresse verso i colori sparsi sul pavimento, in un angolo. Abbassò le spalline del prendisole e se lo lasciò cadere. Si chinò affondando le mani, prima nella densa sostanza poi nelle burrose, deliziose rotondità delle sue linee. Passava i palmi, avidi e lenti, su di se. 
Mentre i colori le abbracciavano il corpo vedevo realizzarsi su quelle carni l'opera d'arte che ostinata si era rifiutata di apparire sulla tela. Si tingeva ovunque. Si palpava e si offriva, come volesse invitarmi alla creazione di quel sensuale dipinto. 
Ed io la desiderai, più di ogni altra cosa. E venne a me, ed in silenzio disegnai sul suo corpo la mia brama. 
Non ci sarebbe stata mai più vita su quella tela. L'arte stava ora riposando sul mio petto, ed i suoi capelli mi sfioravano le labbra.