mercoledì 26 settembre 2012

Risvegli

Lui iniziava quando lei aveva ancora gli occhi chiusi ed il respiro era profondo e spingeva lontano le vele dei sogni, inghiottendo il reale nella bruma del sonno. E così non sapeva dare un senso al piacere inconscio che le solleticava la pelle. Ma un piacere strano ed indefinito come di una piuma a lambire i capezzoli, come di delicate fronde di una felce fatte scivolare tra le cosce.
Così le sue labbra disegnavano l'alba su quella schiena rosa e vellutata, e scorrevano golose sui fianchi morbidi, invitanti sentieri in carne che portavano al monte di Venere ed alle cui falde trovava ristoro dopo il digiuno; trovava sollievo alla sete di Lei.
La luce del nuovo giorno si irradiava oltre la coltre delle tende ed all'arrivo del primo raggio di Sole non un solo lembo di pelle era stato ignorato, in quel lussurioso banchetto di baci e carezze, tocchi e pennellate di lingua. In quell'avido ma gentile perlustrare il suo corpo e requisire il suo odore. 
Si alzava sazio eppure già affamato, in quel continuo nutrirsi di sensi e divorarsi l'anima.
 

sabato 22 settembre 2012

Il canneto

Il vento soffiava nel canneto ed un vecchio senza più anni ad un tratto tese l'orecchio, si portò un dito nodoso e tremante davanti a due sottili  labbra di cartone. Invitandoci tutti al silenzio.
- Sentite il fruscìo delle foglie... Ogni sera in questa ora la brezza sussurra una storia.
- Quale?
- Quella di una Regina, bella come il Sole. E di uno stolto con le ali di cera.


Cenere sulle labbra

Aveva sempre una bestemmia senza filtro tra le labbra. L'ultima volta il dottore era stato chiaro, "O smetti subito o, tempo pochi mesi, te ne vai all'altro mondo. E lì di bestemmie neanche l'ombra." Si preoccupò, ma non riusciva a smettere.
Un prete, nel confessionale del Bar Lux, prima di benedirlo con un'ombretta di prosecco, lo ammonì benevolo. "Se non smetti subito vai all'Inferno, e lì sono bestemmie e dolore e dannazione, in eterno." Allora lui, rassicurato, salì sul primo treno che passò dal suo paesello e si lasciò portare ovunque volesse il vapore. Decise che ne sarebbe sceso solo dopo aver finito quel pacchetto. Giusto il tempo di prenderne uno nuovo e risalire.
Puzzava di rabbia e continuava a sudare ricordi. Guardava sfilare tutti i paesaggi come fossero in un televisore in bianco e nero. Amava i treni e le stazioni perchè ad ogni fermata c'era il chiosco con i pacchetti. E senza l'alta velocità aveva il tempo di bestemmiarle tutte, fino a sentir la cenere sulle labbra. Perchè a lui non era vietato.

Si viveva.

Si viveva di attimi persi. Si ingannava il mondo là fuori e l'unico modo per riuscirci era... Ingannarsi, dentro.
Si viveva riempiendosi i polmoni e soffiando forte sui pensieri. Disperdendo la ragione che come grumi di nebbia fluttuava insidiosa sui loro folli giorni. Quando si viveva lo si faceva specchiandosi nella superficie di un mare così placido che qualsiasi sciocco avrebbe capito fosse solo una soffitta dipinta, ma tanto bastava a vederci riflessi tutti i sogni annegati e le sfacciate fantasie che sguazzavano nell'azzurra illusione. Le loro dita intrecciate ed i palmi premuti a simulare contatti od innalzare preghiere effimere di novene fasulle. Sussurrarsi sulle labbra strofe di canzoni come litanie ormai sbiadite. Si viveva di biscotti con stelle di zucchero, di briciole sulla pelle e di promesse tra le lenzuola.
Tutto ciò che vive poi ha un solo destino, morire. Ecco, si viveva di questo.
 
 

Il Buio

Non venne dato alla luce.
Non sapeva che farsene di uno così, la luce.
Il buio lo accolse come un Mosè abbandonato sulle rive della vita.
Il buio lo crebbe con l'unica forma d'amore che conosceva, insegnandogli l'inganno e l'egoismo.
E lui venne su forte imparando tutto.
Uccise il buio con un immenso falò dove fece bruciare cataste di segreti pesanti e di sogni proibiti.
Le coscienze erano scintille che le fiamme sfrontate sputavano in cielo e le passioni erano puttane ubriache che danzavano intorno al fuoco.
Poi si consumò tutto.
Si spense. Ed il buio lo inghiottì.

mercoledì 19 settembre 2012

La chiamata

"Ora la chiamo".
Era deciso, l'avrebbe fatto.
Ora, dopo tanti anni. Ed avrebbe  sentito di nuovo il suono della sua voce. Quella voce che lo cullava quando era triste e gli accarezzava l'anima quando era agitato. E con gli occhi chiusi ed il telefono in mano ricordò il suo sorriso e, pur sapendo già la risposta, si chiese se quel sorriso sarebbe tornato a spiegare le ali in quel suo cielo grigio e pesante.
L'avrebbe pregata di non fargli domande perché sarebbe stato solo come affondare una lama nella piaga di una ferita, profonda e marcia come le notti di un poeta pazzo, solo e disperato. O forse no. Forse sarebbe stato giusto lasciare che le facesse; che pretendesse risposte. Gliele doveva. Come un assassino in ginocchio deve il proprio petto per espiare il male fatto e per far dissetare col proprio sangue l'arsura di un Cuore che si è ritrovato spezzato senza sapere perché. La richiesta di un perdono ormai inutile ed a quel punto irritante. Ci pensò. E posò il telefono. L'avrebbe chiamata, un giorno, ma non quello. Neanche, quello.

 
 

venerdì 14 settembre 2012

Il puzzle

Le loro storie erano un immenso puzzle con i pezzi attaccati alla rinfusa. 
I loro sogni erano tramonti su mari diversi. Tramonti distanti. Tramonti di cartone con un Sole senza calore e senza colore. Ma erano ancora loro, sarebbero stati ancora loro, sarebbero stati sempre loro. Come un immenso magnifico puzzle raffigurante tutte le meraviglie del mondo racchiuse in un attimo. L'attimo di un bacio sulle labbra. Di un respiro scambiato. L'attimo in cui si può ammirare un puzzle appena completato, prima di accorgersi che ne manca un pezzo. Prima che l'occhio corra impietoso a svelare la crudezza di un punto vuoto. Vuoto ed amaro come una sconfitta.
Prima di realizzare che quel pezzo se l'è rubato il destino. Quel pezzo mancherà sempre, o è mancato da sempre. Realizzare che nessun altro pezzo, per quanto vicino o somigliante, sarebbe mai riuscito a combaciare in quel mosaico, coprire quel buco, e completare quel puzzle. 
Sarebbe stato impossibile, come impossibile è riempire un buco in un sogno.


martedì 11 settembre 2012

Notti. 1.


Ci sono notti in cui la penna ti scivolerebbe dalle dita.
Notti in cui neanche vorresti averla, la penna.
Ci sono dita che sanno afferrare le notti.
E penne che sanno crearla, la notte.
E notti che non saranno mai scritte,
penne che non piangeranno più inchiostro
e dita che si chiuderanno in un pugno.

Ci sono notti in cui la penna ti scivolerebbe dalla mano. E lei la raccoglierebbe, rimettendola tra le tue dita.
Ci sono sogni nei quali lei afferra il manto nero della notte e ne fa un lenzuolo dove far addormentare la realtà.
Notti in cui soffia sulle stelle per non vederle morire cadendo.
E notti in cui intreccia le tue dita con le sue, e stringendo una penna ti invita a scrivere follie sul suo corpo e passioni sulla sua Anima.

giovedì 6 settembre 2012

Lettere...


I loro visi si sfioravano senza mostrarsi. Erano profili in uno specchio avaro e senza riflessi. Sagome perse in un abbraccio sfuggevole e vuoto.
Il loro viversi era di scritti, fogli, penna, sguardi alla Luna e baci disegnati.
I loro scritti andavano respirati.
Il tratto era vigore e gentilezze; la grafìa era inchiostro sulla punta di un coltello. China rosso sangue che colava lungo le guance e stillava sul quaderno.
Ogni parola impressa sulla carta veniva aspirata dalle narici e degustata tra palato, pube e cervello. Scivolava come una foglia sulla corrente di un fiume. Uno scorrere di sensazioni impossibili da arginare tra righe e paragrafi.
I loro scritti erano il loro mondo.
Gli occhi restavano chiusi, non erano per loro quelle storie; non era affar loro il legame tra quelle frasi e l'anima a cui erano rivolte.
E la lettura era così pelle e carne, odori e pulsioni. Ogni rassegna di linee dritte e curve, punteggiature e stili, erano corpi avvinghiati. Le sillabe s'insinuavano tra le cosce, le virgole titillavano soavemente la clito e stuzzicavano i capezzoli. Le maiuscole e gli accenti spinte vigorose tra i solchi che irroravano piacere. I puntini sospensivi l'orgasmo che nessun poeta potrà mai descrivere.
Le pagine, alcova dove vivere di un tempo forse mai arrivato, e mai passato.
Era il leggere di sospiri ed ansimi, di follie e dolori. Era far l'amore con i sensi; era lo scoparsi la mente. 

(Gli occhi restavano chiusi, 
non erano per loro quelle storie; 
non era affar loro il legame 
tra quelle frasi e l'anima a cui erano rivolte.)

Odore... (1)

Mi benderai gli occhi. 
Immobilizzerai il mio corpo.
Renderai inutili le mie mani. 
Sigillerai le mie labbra. 
Tutto solo per il Tuo Odore.
Quando muoverai, sinuosa, il tuo corpo. 
Offrendolo al mio Respiro.



Uomo di carta

L'uomo di carta provò a raccogliere un sogno.
Ne caddero così tanti quella notte, solo in quella notte; quella che seguiva un giorno mai stampato sui calendari.
Piovvero da un cielo che andava rabbuiandosi perdendo di classe e di rispetto, come una nobildonna che si sveste dei suoi abiti preziosi ritrovandosi meretrice.
Nonostante tutto, e nonostante il niente, quel folle volle raccoglierlo lo stesso.
Non aveva ancora smesso di ardere e lui si era già chinato per prenderlo.
Non si era esaurita l'ultima scintilla e già lo stringeva tra due mani che si annerivano fumanti.
''Che tenerezza quell'uomo di carta'', sussurrò la collina.
''Che idiozia quell'uomo di carta'', brontolarono le onde del mare.

Anima/Aquilone


Ci giocava, con l'anima. Come fosse un'aquilone.
Non attaccato a un filo ma imbruttito e appesantito da un catenaccio arrugginito.
Ma lo faceva volare lo stesso. E dappertutto. Cadere in picchiata.
Schiantarsi sulle rocce e tuffarsi nelle pozzanghere.
Infilarsi nei crepacci del terreno, quelli che portano all'inferno senza ritorno.
Scuotersi quando l'aria veniva attraversata dai fulmini ed inzupparsi sotto gli scrosci dei se fosse.
Solcare i mari ma senza bagnarsi e i prati fioriti, senza rubarne profumi e colori. 
E giocando, per luoghi e per stagioni, si avvicinò alla sfera del Sole. Folle, incauto ma non pentito. Nemmeno quando riprese a piroettare con la carta increspata e la puzza di bruciato come scia.
- Con le anime, gli dissero, - non si gioca!
Glielo dissero i saggi, quelli che i loro aquiloni li avevano deposti in soffitta, affidando i sogni alle ragnatele e le anime ai santi dagli occhi tristi.
E lui di quei moniti non nè aveva bisogno.


lunedì 3 settembre 2012

Il "vangelo" del Gino

Gino si frugò nell'anima e saltaron fuori due soldi. Salì di buon passo da Matilde e la vide appoggiata allo stipite del portone. Burrosa di forme, nera e ribelle di chioma, bianca di pelle, come il latte dell'altopiano; verde di occhi e rossa di scialle. Per due soldi si faceva frugar dappertuto e ti apriva ogni suo buco possibile e immaginabile. La stessa sera trovaron Gino lungo la mulattiera, con la testa aperta dai briganti. Mentre il cuore gli era rimasto al cascinale.
 
"...ed il Padrone al ritorno riunì i suoi servi e chiese conto dei denari a loro affidati... <<E tu che ne hai fatto dei due talenti che ti diedi da amministrare?...>>"
(dalvangelosecondoboh!)
 
<<Sior, son servo stolto e inaffidabile. Ho avuto nulla dalla vita se non quelle due monete che poi eran, appunto, manco mie ma cazz...ops! ...scusa, ma te sai la Tilde, no?...che quella mi ha aperto il Mar Rosso e nel solco del suo Paradiso scorrean fiumi di ogni delizia...e tutto per due soldi.>> Accennò un impacciato inchino mostrando, nell'allontanarsi col berretto tra le mani, la testa fatta in due. Poi si voltò, intimidito e sfrontato. <<Che tanto sulla Terra funzionan solo così le cose.>> Riabbassò lo sguardo e nell'andarsene borbottò, <<Sulla Terra...ogni tanto...dagliela un'occhiata...>>

Un Cuore con le ali


Le ali servivano per portare l'anima in giro, a spasso senza meta né senso. Mentre lui per muoversi avrebbe avuto bisogno di una materia grigia con una sigla per nome. Ma il buon Dio aveva sbagliato le dosi, quel sesto giorno. Pensò bene poi di riposarsi quello dopo.

Le ali portavano in giro il suo Cuore. 
Tutti i ti amo che aveva sentito erano cadenti come stelle nella notte di san Lorenzo. Alcuni lo sfiorarono, altri lo presero in pieno facendo un male boia. Ma sapeva che erano sassate non dirette a lui. Erano scie di amori altrui, e si era solo trovato nella loro traiettoria. 
Poi, un giorno col nome di un dio, in un mese col nome di una dea, l'uomo senza materia chiese alle ali di far fare un altro giro a quel Cuore. E si avviarono, nonostante all'orizzonte si addensavano nuvole pesanti. E di quelle ali e quel Cuore si attende ancora il ritorno.


domenica 2 settembre 2012

Di pena e di follia


Due anime in pena. 
Due destini condannati ad un'eterna inquietudine. 
Una passione bruciante, un istinto folle che nasceva nelle viscere e pulsava nelle carni. 
Senza parole. 
Senza promesse. 
Senza i 'per sempre' sussurrati sul petto.

Erano i respiri a dire tutto. 
Erano gli occhi, insignificanti a tutto quello che gravitata al di fuori di loro due. 
Erano gli sguardi, carichi di odio per tutto quello che non parlasse all'uno dell'altro. 
E lui sapeva che dovunque avrebbe viaggiato, e per quante vite avrebbe vissuto e quanti cuori avrebbe rubato, non sarebbe mai stato come con lei. 
E non lo sapeva perché ci aveva riflettuto, ma perché gli vibrava addosso. Gli si plasmava dentro, come una follia che ti divora e cresce. E crescendo si fa condanna. E condannando si fa compagna. 

Lei era lì. Respirava placida, dormendo. 
Lui non la sfiorava, non nè aveva bisogno. Perché sapeva che la stava già possedendo, e lei lo stava godendo nell'oblio del sonno. 
E l'amava. E si sentiva amato.

Abbassò il capo guardandosi la mano aperta sul ginocchio, e si chiese quanta distanza c'era tra una lama ed un cuore, e quanta pressione ci voleva perché l'una affondasse nell'altro. 
Se lo chiedeva spesso, sperando che ogni volta la risposta fosse più facile. 
Poi tornò a scrutare il cielo. Incupito oltre i vetri appannati dalla pioggia, lenta e costante come un'agonia. E ad ascoltare il mare, inquieto come i suoi pensieri. Gli assalti furiosi delle onde in eterna lotta contro le scogliere. Il fragore degli scontri. 
Poi la schiena di Lei, scoperta e mossa lentamente dal suo respiro.



E tornò a guardarsi il dorso della mano. E a chiedersi ancora di una lama e di un Cuore...