domenica 11 novembre 2012

Nel silenzio del bosco

Sai di buono, sussurrò bramoso il lupo, chino tra le cosce dell'imprudente ragazzina. 
Quell'alito di un caldo animalesco le scorreva sul pube, il forte odore di selvaggio della pelliccia le penetrava nelle narici. Era lui a sapere così intensamente di quel vigore rabbioso e famelico da renderlo tanto pericoloso quanto irresistibile.
Sollevò il capo e con un'avida leccata si raccolse il nettare intriso sul muso. 
Lei sembrava sciogliersi, distesa tra l'erbetta; la mantellina strappata ed il cestino rovesciato con le cibarie sparse sul prato mentre l'affannoso languido respiro andava riprendendo un ritmo più regolare.
Non te l'hanno detto al villaggio di non passare da qui, dove c'è un brutto lupaccio?
Sì, rispose con gli occhi sgranati dal piacere che ancora le vibrava nelle viscere, mi hanno avvisata... lo fanno ogni volta che m'incammino sul sentiero...
Già, c'è un sentiero ben segnato, mormorò pensieroso l'animale. Come hai fatto a perderti allora?
Oh no, sorrise. Non mi sono persa...
 
 

venerdì 19 ottobre 2012

Perchè tutto finì

Camminavano su una distesa di sabbia e ad ogni affondo nella rena un lamento di gabbiani si allargava nel cielo. Con un suono che ai due umani sapeva di scherno.
Il bambino, l'ultimo della Terra, chiese intimidito perchè tutto era così. Aggrappava la manina ad un solo dito, enorme e ruvido, di quel vecchio dalla figura monolitica col passo tremante e l'aspetto così insicuro da suscitare timore e tenerezza.
Era tutto normale lì attorno, troppo. Così normale da ostentare la propria falsità, come un paesaggio che mostra panorami rigogliosi e verdeggianti ma che una volta toccato è solo tempera seccata su tela.
"Perchè è così?" ripetè il vecchio. "Perchè nessuno ha più voluto urlare la propria rabbia." Rispose pacato.
"Perchè nessuno ha voluto più scagliare pietre contro le stelle, e sradicato foreste dai propri giardini. Tutti si sono lasciati cullare dai vizi e dalle comodità invece di restare svegli e dar fuoco ai loro sogni; e di affrontare il sonno violentando i loro incubi."
"E poi?" il bambino alzò gli occhi, enormi e lucidi come ciottoli sott'acqua.
"Poi i padroni hanno acceso luci sfavillanti e irradiato musiche ammalianti ed inoculato lussi in ogni posto della Terra. Offrivano il tutto, glielo davano subito porgendoglielo con mani curate ed un falso sorriso stampato sulle labbra, ed il prezzo è stata la dignità, la ragione, e l'anima. Le piazze erano piene solo per le partite di calcio. Hanno acceso meraviglie tecnologiche, e spento la loro rabbia. Ecco perchè è finito tutto", concluse amaramente,"si sono lasciati spegnere la rabbia. Una volta fatto quello tutto il resto è venuto da sè."

 

Labirinto

Era un labirinto. Il più intricato. Sentieri senza sbocco, deviazioni assurde, passaggi angusti. Ogni svolta, affrontata con la timida speranza di percepire un bagliore che indicasse l'uscita, si disintegrava nell'ennesimo muro impenetrabile e gelido come il volto e le labbra di quei medici ormai avvezzi a comunicare condanne.
Era il suo corpo, ora, un labirinto, di respiri ed angosce, sussurri spezzati, voci rotte da incredulità, emozioni e lacrime nascoste. Notti con le pupille sbarrate a fissare un buio destinato a divenire compagno. Un labirinto dentro cui riecheggiava una parola, secca come una fucilata e dilaniante come uno scoppio nelle viscere.
Era lì il Minotauro. Bestia crudele e spietata che cresceva divorando ogni conforto che vagava debole in quel dedalo, tentando una fuga. Invano. 
Il filo di Arianna era ''via d'uscita'', l'unica. Si srotolava lungo la provinciale che costeggiava la scogliera. Accarezzato dal maestrale il corpo fu un salto che seppe di un attimo e di salsedine. La luce squarciò l'oscurità di quella trappola come la roccia fece con il suo petto. Un salto che fu uscita dal labirinto e fu morte del Minotauro.

Fanciulla spezzata

"Ti abbraccio forte forte a presto :-*"
E lo fece. Si incontrarono e l'abbracciò. Così forte da fermarle il respiro. E scuoterla, con un brivido. Continuò nella stretta e l'affetto mutò in impeto, come il vermiglio del crepuscolo diventa il viola della sera. I timidi sospiri divennero respiri scippati, e quando il fiato le si spezzò nei polmoni lei si spezzò come una canna. Ed il viola della sera divenne il nero della notte. Poi una stella pallida e smunta la adagiò sull'erba e vegliò su di lei. La Luna le sussurrò una cantilena gitana, struggente ed antica. Il Sole, con vana e commovente tenerezza, la carezzò coi suoi raggi. Le stagioni coprirono quel prato dei loro folli colori, come fosse la tela di un pittore incostante e distratto. La pioggia pianse lacrime e grandine su quella tomba ammantata di trifogli e macchiata di margherite e campanule, in una muta crudele e assurda benedizione. La brezza dei colli spinse in mare l'orrore, le preghiere degli uomini le ingoiò la marea, insieme alle illusioni di una fanciulla spezzata.

giovedì 11 ottobre 2012

Paura - 2

Quando la senti arrivare cerca di pensare ad altro, a qualcosa di bello. Respira ma non immaginare l'aria fluirti nei polmoni, non serve a niente.
- Dicono funzioni. -
Stronzate! Lo dice chi la pa... lo dice chi non ne ha mai avuta, veramente. E l'ha letta solo nei libri, o vista al Cinema, o scambiata con altro o additata in situazioni che non hanno nulla a che fare con lei. Non nominarla, e non pensare nemmeno al modo in cui chiamarla perchè il solo credere di fregarla così ti fregherebbe.
- Ma è assurdo! -
Perchè, 'lei' ti sembra ragionevole? ti sembra avere una logica, 'lei'? E' buio e non senti che il battito del tuo cuore, e se ti concentri su quello è peggio. Aumenterebbero fino a fartelo scoppiare. Deglutisci e ti sembra di avere un sasso in gola e soffocare della tua stessa saliva. E te l'ho detto di pensare a qualcosa di bello?
- Sì, all'inizio. -
Ho mentito. Non aiuta. Quando arriva 'lei', quella vera, tutto quel che ti sei preparato crolla.
- Come si vince allora? -
Questo è il...bello, tesoro.
Non_puoi_battermi.
(Ti consumerò. Fino alla fine.)

Paura - 1

L'avevo nascosta. Imparato a tenerla a bada. Renderla innocua come una serpe stretta tra le dita, a fermarne l'infida testolina. Incapace di iniettare veleno, quello blu della paura.
Nulla più mi faceva provare quell'attimo che ferma il fiato nei polmoni o fa pulsare la gola e divampare il sangue nelle vene. Poi conobbi una donna. E la sua voce penetrò sinuosa creando crepe nella mia fortezza. Sbriciolando paziente ogni grado di difesa. Per raccogliere i suoi 'ti amo' allentai la presa su quella serpe e da allora, al solo pensiero di perdere quel miracolo cadutomi addosso, la sento strisciare viscida nello stomaco, e mordere, ogni volta che Erika dice, "Vado."
Rigido, freddo, sprezzante. Convinto di non temere nulla; non feci i conti con il fatto che l'amore è anche paura.

venerdì 5 ottobre 2012

Sul suo corpo tutti i colori del mondo.

Intinse le dita nei barattoli delle mie tempere e se le passò sulla pelle, a segnare e disegnare le sue forme. 
Erano giorni che non riuscivo ad iniziare il mio ultimo quadro. Una tela desolatamente vuota come terra inaridita. 
Ero sconsolato, avvilito, e nervoso. Avevamo litigato. Dovevo averle sbraitato di tutto addosso, anche se non ricordo cosa. Quello che ricordo, e mi sorprese, fu la sua reazione. Si diresse verso i colori sparsi sul pavimento, in un angolo. Abbassò le spalline del prendisole e se lo lasciò cadere. Si chinò affondando le mani, prima nella densa sostanza poi nelle burrose, deliziose rotondità delle sue linee. Passava i palmi, avidi e lenti, su di se. 
Mentre i colori le abbracciavano il corpo vedevo realizzarsi su quelle carni l'opera d'arte che ostinata si era rifiutata di apparire sulla tela. Si tingeva ovunque. Si palpava e si offriva, come volesse invitarmi alla creazione di quel sensuale dipinto. 
Ed io la desiderai, più di ogni altra cosa. E venne a me, ed in silenzio disegnai sul suo corpo la mia brama. 
Non ci sarebbe stata mai più vita su quella tela. L'arte stava ora riposando sul mio petto, ed i suoi capelli mi sfioravano le labbra.
 
 

mercoledì 26 settembre 2012

Risvegli

Lui iniziava quando lei aveva ancora gli occhi chiusi ed il respiro era profondo e spingeva lontano le vele dei sogni, inghiottendo il reale nella bruma del sonno. E così non sapeva dare un senso al piacere inconscio che le solleticava la pelle. Ma un piacere strano ed indefinito come di una piuma a lambire i capezzoli, come di delicate fronde di una felce fatte scivolare tra le cosce.
Così le sue labbra disegnavano l'alba su quella schiena rosa e vellutata, e scorrevano golose sui fianchi morbidi, invitanti sentieri in carne che portavano al monte di Venere ed alle cui falde trovava ristoro dopo il digiuno; trovava sollievo alla sete di Lei.
La luce del nuovo giorno si irradiava oltre la coltre delle tende ed all'arrivo del primo raggio di Sole non un solo lembo di pelle era stato ignorato, in quel lussurioso banchetto di baci e carezze, tocchi e pennellate di lingua. In quell'avido ma gentile perlustrare il suo corpo e requisire il suo odore. 
Si alzava sazio eppure già affamato, in quel continuo nutrirsi di sensi e divorarsi l'anima.
 

sabato 22 settembre 2012

Il canneto

Il vento soffiava nel canneto ed un vecchio senza più anni ad un tratto tese l'orecchio, si portò un dito nodoso e tremante davanti a due sottili  labbra di cartone. Invitandoci tutti al silenzio.
- Sentite il fruscìo delle foglie... Ogni sera in questa ora la brezza sussurra una storia.
- Quale?
- Quella di una Regina, bella come il Sole. E di uno stolto con le ali di cera.


Cenere sulle labbra

Aveva sempre una bestemmia senza filtro tra le labbra. L'ultima volta il dottore era stato chiaro, "O smetti subito o, tempo pochi mesi, te ne vai all'altro mondo. E lì di bestemmie neanche l'ombra." Si preoccupò, ma non riusciva a smettere.
Un prete, nel confessionale del Bar Lux, prima di benedirlo con un'ombretta di prosecco, lo ammonì benevolo. "Se non smetti subito vai all'Inferno, e lì sono bestemmie e dolore e dannazione, in eterno." Allora lui, rassicurato, salì sul primo treno che passò dal suo paesello e si lasciò portare ovunque volesse il vapore. Decise che ne sarebbe sceso solo dopo aver finito quel pacchetto. Giusto il tempo di prenderne uno nuovo e risalire.
Puzzava di rabbia e continuava a sudare ricordi. Guardava sfilare tutti i paesaggi come fossero in un televisore in bianco e nero. Amava i treni e le stazioni perchè ad ogni fermata c'era il chiosco con i pacchetti. E senza l'alta velocità aveva il tempo di bestemmiarle tutte, fino a sentir la cenere sulle labbra. Perchè a lui non era vietato.

Si viveva.

Si viveva di attimi persi. Si ingannava il mondo là fuori e l'unico modo per riuscirci era... Ingannarsi, dentro.
Si viveva riempiendosi i polmoni e soffiando forte sui pensieri. Disperdendo la ragione che come grumi di nebbia fluttuava insidiosa sui loro folli giorni. Quando si viveva lo si faceva specchiandosi nella superficie di un mare così placido che qualsiasi sciocco avrebbe capito fosse solo una soffitta dipinta, ma tanto bastava a vederci riflessi tutti i sogni annegati e le sfacciate fantasie che sguazzavano nell'azzurra illusione. Le loro dita intrecciate ed i palmi premuti a simulare contatti od innalzare preghiere effimere di novene fasulle. Sussurrarsi sulle labbra strofe di canzoni come litanie ormai sbiadite. Si viveva di biscotti con stelle di zucchero, di briciole sulla pelle e di promesse tra le lenzuola.
Tutto ciò che vive poi ha un solo destino, morire. Ecco, si viveva di questo.
 
 

Il Buio

Non venne dato alla luce.
Non sapeva che farsene di uno così, la luce.
Il buio lo accolse come un Mosè abbandonato sulle rive della vita.
Il buio lo crebbe con l'unica forma d'amore che conosceva, insegnandogli l'inganno e l'egoismo.
E lui venne su forte imparando tutto.
Uccise il buio con un immenso falò dove fece bruciare cataste di segreti pesanti e di sogni proibiti.
Le coscienze erano scintille che le fiamme sfrontate sputavano in cielo e le passioni erano puttane ubriache che danzavano intorno al fuoco.
Poi si consumò tutto.
Si spense. Ed il buio lo inghiottì.

mercoledì 19 settembre 2012

La chiamata

"Ora la chiamo".
Era deciso, l'avrebbe fatto.
Ora, dopo tanti anni. Ed avrebbe  sentito di nuovo il suono della sua voce. Quella voce che lo cullava quando era triste e gli accarezzava l'anima quando era agitato. E con gli occhi chiusi ed il telefono in mano ricordò il suo sorriso e, pur sapendo già la risposta, si chiese se quel sorriso sarebbe tornato a spiegare le ali in quel suo cielo grigio e pesante.
L'avrebbe pregata di non fargli domande perché sarebbe stato solo come affondare una lama nella piaga di una ferita, profonda e marcia come le notti di un poeta pazzo, solo e disperato. O forse no. Forse sarebbe stato giusto lasciare che le facesse; che pretendesse risposte. Gliele doveva. Come un assassino in ginocchio deve il proprio petto per espiare il male fatto e per far dissetare col proprio sangue l'arsura di un Cuore che si è ritrovato spezzato senza sapere perché. La richiesta di un perdono ormai inutile ed a quel punto irritante. Ci pensò. E posò il telefono. L'avrebbe chiamata, un giorno, ma non quello. Neanche, quello.

 
 

venerdì 14 settembre 2012

Il puzzle

Le loro storie erano un immenso puzzle con i pezzi attaccati alla rinfusa. 
I loro sogni erano tramonti su mari diversi. Tramonti distanti. Tramonti di cartone con un Sole senza calore e senza colore. Ma erano ancora loro, sarebbero stati ancora loro, sarebbero stati sempre loro. Come un immenso magnifico puzzle raffigurante tutte le meraviglie del mondo racchiuse in un attimo. L'attimo di un bacio sulle labbra. Di un respiro scambiato. L'attimo in cui si può ammirare un puzzle appena completato, prima di accorgersi che ne manca un pezzo. Prima che l'occhio corra impietoso a svelare la crudezza di un punto vuoto. Vuoto ed amaro come una sconfitta.
Prima di realizzare che quel pezzo se l'è rubato il destino. Quel pezzo mancherà sempre, o è mancato da sempre. Realizzare che nessun altro pezzo, per quanto vicino o somigliante, sarebbe mai riuscito a combaciare in quel mosaico, coprire quel buco, e completare quel puzzle. 
Sarebbe stato impossibile, come impossibile è riempire un buco in un sogno.


martedì 11 settembre 2012

Notti. 1.


Ci sono notti in cui la penna ti scivolerebbe dalle dita.
Notti in cui neanche vorresti averla, la penna.
Ci sono dita che sanno afferrare le notti.
E penne che sanno crearla, la notte.
E notti che non saranno mai scritte,
penne che non piangeranno più inchiostro
e dita che si chiuderanno in un pugno.

Ci sono notti in cui la penna ti scivolerebbe dalla mano. E lei la raccoglierebbe, rimettendola tra le tue dita.
Ci sono sogni nei quali lei afferra il manto nero della notte e ne fa un lenzuolo dove far addormentare la realtà.
Notti in cui soffia sulle stelle per non vederle morire cadendo.
E notti in cui intreccia le tue dita con le sue, e stringendo una penna ti invita a scrivere follie sul suo corpo e passioni sulla sua Anima.

giovedì 6 settembre 2012

Lettere...


I loro visi si sfioravano senza mostrarsi. Erano profili in uno specchio avaro e senza riflessi. Sagome perse in un abbraccio sfuggevole e vuoto.
Il loro viversi era di scritti, fogli, penna, sguardi alla Luna e baci disegnati.
I loro scritti andavano respirati.
Il tratto era vigore e gentilezze; la grafìa era inchiostro sulla punta di un coltello. China rosso sangue che colava lungo le guance e stillava sul quaderno.
Ogni parola impressa sulla carta veniva aspirata dalle narici e degustata tra palato, pube e cervello. Scivolava come una foglia sulla corrente di un fiume. Uno scorrere di sensazioni impossibili da arginare tra righe e paragrafi.
I loro scritti erano il loro mondo.
Gli occhi restavano chiusi, non erano per loro quelle storie; non era affar loro il legame tra quelle frasi e l'anima a cui erano rivolte.
E la lettura era così pelle e carne, odori e pulsioni. Ogni rassegna di linee dritte e curve, punteggiature e stili, erano corpi avvinghiati. Le sillabe s'insinuavano tra le cosce, le virgole titillavano soavemente la clito e stuzzicavano i capezzoli. Le maiuscole e gli accenti spinte vigorose tra i solchi che irroravano piacere. I puntini sospensivi l'orgasmo che nessun poeta potrà mai descrivere.
Le pagine, alcova dove vivere di un tempo forse mai arrivato, e mai passato.
Era il leggere di sospiri ed ansimi, di follie e dolori. Era far l'amore con i sensi; era lo scoparsi la mente. 

(Gli occhi restavano chiusi, 
non erano per loro quelle storie; 
non era affar loro il legame 
tra quelle frasi e l'anima a cui erano rivolte.)

Odore... (1)

Mi benderai gli occhi. 
Immobilizzerai il mio corpo.
Renderai inutili le mie mani. 
Sigillerai le mie labbra. 
Tutto solo per il Tuo Odore.
Quando muoverai, sinuosa, il tuo corpo. 
Offrendolo al mio Respiro.



Uomo di carta

L'uomo di carta provò a raccogliere un sogno.
Ne caddero così tanti quella notte, solo in quella notte; quella che seguiva un giorno mai stampato sui calendari.
Piovvero da un cielo che andava rabbuiandosi perdendo di classe e di rispetto, come una nobildonna che si sveste dei suoi abiti preziosi ritrovandosi meretrice.
Nonostante tutto, e nonostante il niente, quel folle volle raccoglierlo lo stesso.
Non aveva ancora smesso di ardere e lui si era già chinato per prenderlo.
Non si era esaurita l'ultima scintilla e già lo stringeva tra due mani che si annerivano fumanti.
''Che tenerezza quell'uomo di carta'', sussurrò la collina.
''Che idiozia quell'uomo di carta'', brontolarono le onde del mare.

Anima/Aquilone


Ci giocava, con l'anima. Come fosse un'aquilone.
Non attaccato a un filo ma imbruttito e appesantito da un catenaccio arrugginito.
Ma lo faceva volare lo stesso. E dappertutto. Cadere in picchiata.
Schiantarsi sulle rocce e tuffarsi nelle pozzanghere.
Infilarsi nei crepacci del terreno, quelli che portano all'inferno senza ritorno.
Scuotersi quando l'aria veniva attraversata dai fulmini ed inzupparsi sotto gli scrosci dei se fosse.
Solcare i mari ma senza bagnarsi e i prati fioriti, senza rubarne profumi e colori. 
E giocando, per luoghi e per stagioni, si avvicinò alla sfera del Sole. Folle, incauto ma non pentito. Nemmeno quando riprese a piroettare con la carta increspata e la puzza di bruciato come scia.
- Con le anime, gli dissero, - non si gioca!
Glielo dissero i saggi, quelli che i loro aquiloni li avevano deposti in soffitta, affidando i sogni alle ragnatele e le anime ai santi dagli occhi tristi.
E lui di quei moniti non nè aveva bisogno.


lunedì 3 settembre 2012

Il "vangelo" del Gino

Gino si frugò nell'anima e saltaron fuori due soldi. Salì di buon passo da Matilde e la vide appoggiata allo stipite del portone. Burrosa di forme, nera e ribelle di chioma, bianca di pelle, come il latte dell'altopiano; verde di occhi e rossa di scialle. Per due soldi si faceva frugar dappertuto e ti apriva ogni suo buco possibile e immaginabile. La stessa sera trovaron Gino lungo la mulattiera, con la testa aperta dai briganti. Mentre il cuore gli era rimasto al cascinale.
 
"...ed il Padrone al ritorno riunì i suoi servi e chiese conto dei denari a loro affidati... <<E tu che ne hai fatto dei due talenti che ti diedi da amministrare?...>>"
(dalvangelosecondoboh!)
 
<<Sior, son servo stolto e inaffidabile. Ho avuto nulla dalla vita se non quelle due monete che poi eran, appunto, manco mie ma cazz...ops! ...scusa, ma te sai la Tilde, no?...che quella mi ha aperto il Mar Rosso e nel solco del suo Paradiso scorrean fiumi di ogni delizia...e tutto per due soldi.>> Accennò un impacciato inchino mostrando, nell'allontanarsi col berretto tra le mani, la testa fatta in due. Poi si voltò, intimidito e sfrontato. <<Che tanto sulla Terra funzionan solo così le cose.>> Riabbassò lo sguardo e nell'andarsene borbottò, <<Sulla Terra...ogni tanto...dagliela un'occhiata...>>

Un Cuore con le ali


Le ali servivano per portare l'anima in giro, a spasso senza meta né senso. Mentre lui per muoversi avrebbe avuto bisogno di una materia grigia con una sigla per nome. Ma il buon Dio aveva sbagliato le dosi, quel sesto giorno. Pensò bene poi di riposarsi quello dopo.

Le ali portavano in giro il suo Cuore. 
Tutti i ti amo che aveva sentito erano cadenti come stelle nella notte di san Lorenzo. Alcuni lo sfiorarono, altri lo presero in pieno facendo un male boia. Ma sapeva che erano sassate non dirette a lui. Erano scie di amori altrui, e si era solo trovato nella loro traiettoria. 
Poi, un giorno col nome di un dio, in un mese col nome di una dea, l'uomo senza materia chiese alle ali di far fare un altro giro a quel Cuore. E si avviarono, nonostante all'orizzonte si addensavano nuvole pesanti. E di quelle ali e quel Cuore si attende ancora il ritorno.


domenica 2 settembre 2012

Di pena e di follia


Due anime in pena. 
Due destini condannati ad un'eterna inquietudine. 
Una passione bruciante, un istinto folle che nasceva nelle viscere e pulsava nelle carni. 
Senza parole. 
Senza promesse. 
Senza i 'per sempre' sussurrati sul petto.

Erano i respiri a dire tutto. 
Erano gli occhi, insignificanti a tutto quello che gravitata al di fuori di loro due. 
Erano gli sguardi, carichi di odio per tutto quello che non parlasse all'uno dell'altro. 
E lui sapeva che dovunque avrebbe viaggiato, e per quante vite avrebbe vissuto e quanti cuori avrebbe rubato, non sarebbe mai stato come con lei. 
E non lo sapeva perché ci aveva riflettuto, ma perché gli vibrava addosso. Gli si plasmava dentro, come una follia che ti divora e cresce. E crescendo si fa condanna. E condannando si fa compagna. 

Lei era lì. Respirava placida, dormendo. 
Lui non la sfiorava, non nè aveva bisogno. Perché sapeva che la stava già possedendo, e lei lo stava godendo nell'oblio del sonno. 
E l'amava. E si sentiva amato.

Abbassò il capo guardandosi la mano aperta sul ginocchio, e si chiese quanta distanza c'era tra una lama ed un cuore, e quanta pressione ci voleva perché l'una affondasse nell'altro. 
Se lo chiedeva spesso, sperando che ogni volta la risposta fosse più facile. 
Poi tornò a scrutare il cielo. Incupito oltre i vetri appannati dalla pioggia, lenta e costante come un'agonia. E ad ascoltare il mare, inquieto come i suoi pensieri. Gli assalti furiosi delle onde in eterna lotta contro le scogliere. Il fragore degli scontri. 
Poi la schiena di Lei, scoperta e mossa lentamente dal suo respiro.



E tornò a guardarsi il dorso della mano. E a chiedersi ancora di una lama e di un Cuore...



venerdì 31 agosto 2012

Innocuo canto dei ''ti amo'' gettati.

Il figlio di un Dio sordo aveva gettato i suoi ti amo ovunque volgesse lo sguardo.
Sui terreni aridi e pietrosi, bruciarono prima ancora di toccare terra.
Sulle acque torbide e melmose, affondarono macerandosi nel nulla.
Alcuni fioccarono spettacolari e fuori stagione come neve a Maggio, ne raccolse da terra e li tenne sul palmo finchè la Verità non li sciolse col suo alito caldo.
Altri li urlò oltre le valli senza orizzonte, ed altri ancora gli rigarono il volto scendendo beffardi dagli occhi.
Quelli che gli rimasero in mano li chiuse in una scatola di latta e la sotterrò, per non aprirla mai più.
Poi, a distanza di anni, in un giorno senza ore, un ti amo, imprevisto e ribelle, gli sussultò nel Cuore, risalì lungo l'anima a forza di unghiate ed uscì dalle labbra liberandosi in volo.
Ed egli, impaurito, corse a dissotterrare quella scatola, e l'aprì. Ed era vuota.
Si accorse così di non aver mai pianto per davvero, di non aver mai urlato, di non aver mosso una mano, prima di allora.
Prima di incontrare la figlia di un Sogno a cui non credeva più.


mercoledì 29 agosto 2012

Esserci

Ci sarò, quando sarà distruzione. E saprà di morte.
Quando la vita sarà fatta a brandelli, e sulla pelle le rughe scriveranno un Diario senza date.
Saranno chiazze di sangue. Orgia di odori e di peccati.
Quando l'odio saprà di inutile vittoria e la vittoria stenderà un folle crudele sorriso su macerie fumanti e le lacrime allora saranno pioggia benedetta.
E la notte sarà un'eterna agognata dannazione.
Quando sarai - e sarai ossa e cenere, ferite e lamenti. Ci sarò. Non smetterò di respirarti.

Sopravvivere

Più che un guerriero si sentì un mercenario. 
Uno che lotta per semplice e mera sopravvivenza.
Ha dato spazio ai sogni ma quelli pesano, e piegano.
Quindi alla fin fine conta sempre e solo sopravvivere, che piaccia o meno.
Ed è quello che facciamo tutti. Chi in un modo e chi in un altro.



Coincidenze


Le cose belle della vita erano le più inaspettate.
Le coincidenze.
Il guaio è che non era stato fatto per le coincidenze, lui. Nè per i voli, nè per i sogni.
Il guaio è che avrebbe dovuto essere un guscio, secco e vuoto.
Ed ogni volta sentiva invece una materia fatta di emozioni palpitargli dentro, formarsi come una larva, strappare la patina collosa di un bozzolo, uscire per battere le ali una notte sola.
Poi disperdersi nel nulla.



martedì 28 agosto 2012

a Vale

Passano i giorni. 
Ad Agosto il cielo si buca di stelle e l'aria è drogata di olio solare. I grilli cantano ancora alla Luna; melodie sottili come fili d'erba, che si perdono prima ancora di essere udite.
Arriverà Settembre ed il tuo nome sarà, innocuo, tra le mie labbra, dolce e rosso come le uve delle campagne. 
L'Autunno invece lo scriverà sulle foglie e lo profumerà di castagne arrostite. E l'inverno lo sussurrerà portando fiocchi di neve, che accoglierò sul palmo della mano. 
Ascolterò le urla del mare ed il ticchettio delle piogge; respirerò gli odori del bosco e mi lascerò accarezzare dai timidi raggi di Gennaio.
E scivoleranno, mesi e stagioni; paure e speranze, pensieri folli e tregue armate. 
Ed io vorrò esserci, per te. Come un amico, dal Cuore tenero e l'Animo bastardo. Come un sogno breve quanto le ore di luce in Dicembre; un sogno assurdo, come un'Estate in Febbraio. Ma voglio esserci, per me. Perchè non avrei dove altro stare. Non voglio perderti. 
RP.

sabato 25 agosto 2012

solounamica

"ésolounamica"
E lo dici in apnea. Lo lasci fluire veloce sperando che la frase scappi via lontano. Così veloce e così lontano che ti è più facile non sentirla nemmeno.
"ésolounamica"
Te lo martelli in testa come un mantra. Come quando da piccolo ripetevi ossessivo "nonhopauradelbuio". E lo ripetevi e ripetevi. E non funzionava, perchè la paura del buio ti mangiava il cuore.
"ésolounamica"
E lo ripeterai finchè finirai per crederci. Finchè funzionerà per forza. Perchè anche del buio, crescendo, hai finito per non averne paura. O no?
"ésolounamica"
E ti starà bene così. Deve. Starti bene così.

Giornata uggiosa

Una giornata uggiosa, l'ennesima.
I foglietti del calendario si increspavano ed ingiallivano prima ancora che arrivasse il mezzodì. Il tetrapak barava spudoratamente sulla scadenza del latte, anticipandola. Il mangiare che fumava sulla tavola sapeva di già digerito. Il telegiornale snocciolava come notizie dell'ultima ora fatti successi anni addietro.
Una giornata uggiosa la mia, anche quella.
Poi arrivò. Il salire dei tacchi lungo le scale andava a tempo coi battiti del cuore. Suonò il campanello ed io vidi il suo sorriso prima di sentire il din don. Mi passò affianco salutandomi con un bacio. Il tempo, per quell'attimo, parve acquistare senso, come un derelitto che ha un ultimo moto d'orgoglio. Appese il soprabito al pomello dietro la porta e nell'attraversare il corridoio si sciolse i capelli lasciandoli fluire, neri e lucidi, sulla schiena. La seguii in cucina senza parlare. Non parlai per tutto il pomeriggio.
Continuò ad essere la mia ennesima giornata uggiosa, ma riuscivo a non pensarci. Guardandola, di tanto in tanto, negli occhi.

D'amore tenero e morente.

E fecero l'amore.
Come mai lo fecero prima e come mai fu fatto dopo.
Lo fecero incrociando i loro sguardi e lasciando che i loro respiri si abbracciassero. Lo fecero toccandosi le fronti e sfiorandosi le punte dei nasi.
Fare l'amore era posarsi a vicenda una mano sul petto, e sentire i cuori battere forte. Era salutare insieme il tramonto promettendo al Sole che lo avrebbero riaccolto al suo sorgere.
Fare l'amore era guardare il cielo di notte e perdere di proposito il conto delle stelle per paura che finissero. Era ascoltare brani evergreen sulla spiaggia e dare un nome buffo ad ogni onda. Mangiare in due una pizza scadente e sforzarsi di sorridere, quando si riaffacciava alla loro mente il pensiero che tutto quello sarebbe finito presto.

Di lama e di sangue

Sanguinava.
Il palmo premuto su un fianco e le dita che affondavano, dove la pelle si fa carne e le carni viscere.
Ad ogni movimento sembrava si materializzasse quella lama che Lei, poco prima, nascondeva dietro la schiena e mimetizzava tra i lunghi capelli ed i mille sorrisi.
Sanguinava.

E ad ogni respiro affannato sgorgava a fiotti. Caldo, denso, nero.
Ad ogni sospiro l'Anima defluiva da quel corpo.

Risucchiata verso un ''altrove'', sconosciuto e inquietante. Ma dove avrebbe rivisto quei capelli e quei sorrisi. E non ne aveva più paura.

Ossessione

Era la sua ossessione. Ne era prigioniero. Si era arreso e consegnato ad una folla accalcante e primitiva, ululante ed oscena, fatta di tutti i pensieri che dilaniavo la sua mente. Non li combatteva più. No. Troppo numerosi. Troppo agguerriti. 
"E poi le loro grida... ti piegano le gambe, ti fiaccano il respiro. Sei sconfitto prima ancora di lottare. Il solo sentire quelle urla ti inchioda a terra e non c'è scampo. Puoi solo chiedere pietà. Ed io l'ho fatto. Lei lo ha fatto. E le ho sorriso. Era una troia. Mi tradiva con tutti. Tutti i miei amici, tutti i suoi amici. Ogni conoscente. Ogni passante. Mi avrebbe tradito col mondo intero se non l'avessi...Oh cazzo, la testa mi scoppia. Non sente queste voci?...Io non volevo...mi ha costretto. Guardi!" Indica all'agente un corpo riverso sul pavimento,in una pozza di sangue. "Le guardi il volto. Sorride. Anche adesso. Gode. Mi tradisce ancora, la troia. Vede?Oh, la mia testa... Lei non sente la folla? Ho dovuto farlo..."

Come stai? (3)


"Non devi più chiederlo 'come stai?', non tu... non a me! come vuoi che stia un morto? Cazzo..." Secondi di silenzio, poi sbottò ancor più infastidito, "...prendi la mira, premi il grilletto, Bang! poi... poi che fai? ti presenti con gli occhi gonfi e l'aria da cane bastonato!.. 
"E perchè oggi? cos'è? un'anniversario? quale? il nostro? ...o il vostro? Quanti cazzo di anniversari hai da ricordare? quanti ne hai fottuti di poveri idioti come quello che hai di fronte, e che sorride come un babbeo?" 
Altri secondi di un teso silenzio aleggiano nell'aria.
"E' lui il prossimo? Quell'idiota col codino che è in auto? Dio che gusti hai... se avessi un po' d'aria nei polmoni riderei. E se avessi i polmoni,ovvio. 
"E mi chiedi come sto... Senti! io non credo a quelle puttanate sul parlare con l'aldilà e vedere i defunti e roba simile... perciò tagliamo corto...metti 'sti cazzo di fiori sulla lapide e vattene. Vattene!"

(Lei se ne andò. Il mazzo di fiori si accasciò inerme sull'erbetta umida. E lui si amareggiò di non aver più lacrime.)

Come stai? (2)


"Come stai?" Sussurrò a testa china, come se parlasse da sola.
"Bene, ora è tutto diverso. E' meglio." Le sfiorò il mento con due dita, invitandola ad alzare lo sguardo. Le sorrise, e sparì. 
Un istante dopo un brivido la scosse quando un bacio le si posò dietro il collo. Si morse le labbra cercando di trattenere il pianto.
Lui spuntò da dietro e notando le lacrime rigare quel visino pallido sparì di nuovo. Ogni volta che si dissolveva piccoli turbini d'aria sollevavano le foglie morte sul prato facendole roteare per poi riassopirsi nell'oblio.
E le riapparì, di fronte, con in mano un fiore luminoso e sconosciuto. "Da voi non ne esistono così", disse porgendoglielo, "l'altro mondo ne è pieno."
La guardava sempre con un'espressione dolce e protettiva. "Dai, non devi struggerti così... L'ha voluto il Destino. Doveva andare così. Lui ci crea, e poi gioca." 
Lei liberò tutto il pianto che sopprimeva dentro di se. 
Lui continuò, "Un killer di professione uccide il candidato favorito alle presidenziali. Hai fatto solo il tuo lavoro. E sai che ti dico," si avvicinò sussurrandole, "i tuoi occhi...li fissavo mentre premevi il grilletto...erano i più belli che avessi mai visto." Le diede un bacio, solo sulla guancia, ma sufficiente a darle la sensazione di venir proiettata fuori dal corpo, e vibrare in un'altra dimensione. Durò pochissimo, il tempo di uno schiocco di labbra, ma fu meraviglioso.
Poi sparì.

Irriconoscenza


"Come stai?"
"Me l'hai chiesto ieri...ed il giorno prima..." si passò le dita tra i capelli, grigi, lunghi e disordinati, "...a dire il vero me lo stai chiedendo di continuo, da quando hai deciso di prenderti cura di me..."
Si guardò intorno, come spaesato. Scostò la sedia dal tavolino e si sedette lentamente, dosando le forze e rilasciando un sospiro stanco. Si avvicinò il giornale piegato in due e lo squadrò cercando di mettere a fuoco le scritte, poi con espressione arresa lo lasciò ricadere sul piano.
"Merda. Meglio non leggere."
Sollevò lo sguardo sulla donna che lo osservava immobile ed in silenzio,come un soldatino ubbidiente ed affranto.
"Beh, cara, ho una brutta notizia, per te... Sto bene..." Glielo disse col volto scavato, le labbra sottili e sferzanti e gli occhi rabbiosi. "...Quindi devi rivedere i dosaggi delle medicine che mi propini. Tesoro."
Erano sempre taglienti le frecciate di quel vecchio pazzo sull'anima di quella donnina tanto amorevole.

Non-Maestro


Mi confidò che sperava di ricevere lezioni di vita.
Ma io non sono un "maestro di vita". 
Non ho nulla da insegnare. 
Non ne ho interesse, nè voglia. 
Devo solo essere me stesso, nonostante.
Mettimi un sasso in mano e aiutami a scagliarlo contro ogni ragione. Poi un altro ed un altro ancora, finchè cadranno tutte. E cadrà il cielo e prenderà fuoco la luna.